FRANCO BELSOLE Visual artist

da «Market Street - Scatti Americani»

di Enrico Anselmi

 

Proiezione interiori dell'esistere e del suo scorrere frammentato si allineano in compositi contrappunti di bianco e nero.

Sono proiezioni ideali, immaginate e portate confluiscono nella tensione verso il raggiungimento del compiuto a combaciare con il reale o asettica registrazione delle solitudini quotidiane? Forse la strada battuta da Belsole è segnata da entrambi gli intenti, è caratterizzata dalla volontà di mediare una sorta di idea interiore con la reale manifestazione delle azioni e degli accadimenti .L'osservazione non è mai svagata e distratta, non è superficiale o corriva, piuttosto è oggettiva e pensosa nel non voler qualificare l'asettico anonimato delle presenze umane, nel proiettare opzioni di un non tempo, di una non storia ,di un non luogo metropolitano.

Campisce di sé gli spazi e li dilata il silenzio strappato dallo stridio delle voci della città che diventa assorta evocazione narrata per rimandi frammentari, per riflessi sovrapposti. L'azione di Belsole è parte intrigante di una sensibilità di prevedere , di leggere nei gesti e nelle posture , le tensioni o gli abbandoni, le contradizioni del non detto, del non completamente dichiarato. Allo scopo si avvale di un linguaggio formale di costruzione dell'immagine assolutamente complementare, altrettanto sfuggente e frammentaria. E' lo stesso rifiuto della messa in posa , contrapposto al cogliere il molteplice nel momento in cui si manifesta, a costituire uno strumento ricorrente e in tal senso prevale quell'idea di fotografia che considera accessorie le sofisticazioni tecniche dell'immagine.

Per certi versi ricorda le ricerche condotte da Harry Callahan negli anni '60 del Novecento sulla scorta di Robert Frank uno dei primi ''fotografi di strada''. Rispetto a quello però amplifica con maggior pregnanza l'atemporalità , la non appartenenza e nel contempo la capacità evocativa di una condizione di non completa esistenza in un luogo e in un tempo, di inoltrato distacco dal circostante pur rimanendo nel campo dell'osservazione.Allo stesso tempo non gli interessano quegli esiti astrattizzanti che Callahan dimostra di prediligere in tutta la sua produzione, forse troppo meccanici e manifesti perché derivati da un rigida parcellizzazione del reale che combacia con inquadrature basate sui primissimi piani o sulla sovrapposizione di immagini incoerenti tra loro.

Le fotografie di Belsole si soffermano su soggetti compositi e articolati , mai definiti totalmente, dove barlumi di realtà si riflettono sui vetri degli edifici newyorkesi. Stazionano su schermi trasparenti corpi in contrapposto, visi sottratti allo sguardo, arti piegati, frammenti di paesaggi urbani.

Silenziosa e dilatata condizione di privilegio , di alterità e dunque di non sofferenza sembra essere quella perseguita, o per lo meno di non sofferenza apparente perché coincide con l'oggettivazione del soggetto prescelto. La presa di distanza è un'altra delle componenti di definizione delle immagini proprie di Belsole che sembra voglia sottrarle ad un'impersonale fedeltà mimetica, intesa nel senso più riduttivo del termine, nonché all'impoverimento del portato estetico degli scatti che colgono solo frammenti , parti della totalità, e mai tutto,il compiuto, il risolto in sé.