FRANCO BELSOLE Visual artist

Intervista a Franco Belsole

a cura di Lucia Aldinucci (museidiroma.eu)

 

Cosa è per lei l'arte?

Possono esserci varie risposte a questa domanda, ma nessuna definitiva o esaustiva, d'altronde in merito a ciò sono stati scritti diversi volumi. Credo che l’arte sia tutto ciò che ci riguarda del nostro io , in relazione con il mondo esterno e in contrapposizione alla eccezionale complessità della nostra civiltà postmoderna. E’ una forma di indagine riflessiva, di spiraglio alla ricerca di spazi o vuoti, in cui gli individui sono collocati o esclusi da una routine collettiva delle nostre società.
L’arte ci porta a ricrederci, a ritrovare le giuste dimensioni, e credo fermamente, che le forme d’arte autentiche siano sempre fedeli alla ricerca e al recupero di noi stessi.

Quando avviene la sua formazione? E dove si è formato?

La mia formazione e il mio interesse verso la fotografia nasce negli anni '90, interpretando inizialmente lavori di artisti dandogli una visione non definitiva, discostata dal progetto iniziale, poi sono arrivate alcune borse di studio in particolare il Progetto Internazionale Civitella D’Agliano con lo storica e figura di spicco dell’arte contemporanea Filiberto Menna, e di seguito l’approfondimento della scuola di Dusseldorf dei coniugi Bernd e Hilla Becher e dei suoi allievi, a seguire realizzazioni di lavori su metropoli in particolare su New York, che mi hanno permesso di conoscere e scambiare esperienze con la massima scena artistica americana.

Ha un modello di artista, contemporaneo e non, a cui si ispira?

Si può dire che non c’è un artista unico che mi abbia ispirato, ma mi sono interessato alle singole correnti e discipline artistiche a cui appartengono, o hanno fatto parte, artisti capaci di rappresentare il contemporaneo in relazione a se stessi. Una forma d’arte introspettiva condizionata dal fuori, penso alla corrente astratta e informale del espressionismo come Franz Kline e la sua spontaneità dei gesti, che puo essere avvicinata ad una spontaneità di sguardo fotografico per quanto mi riguarda, o le vedute di Mark Rothko, proiezioni interne accennate di strutture o confini nelle sue opere.
Per quanto riguarda la fotografia penso alla corrente dell’impassibilità con Andreas Gursky, o autori Italiani come Guido Guidi, Luigi Ghirri che hanno contribuito, con i loro paesaggi antropizzati, a far uscire la fotografia in Italia, da un aspetto che possiamo dire tradizionale.

Nella biografia scrive che l'interesse nel suo lavoro artistico è: "l’attenzione verso l’anonimato nelle grandi metropoli, contemplando la posizione dell’individuo nel dinamismo e simbolismo architettonico, culturale e antropologico nelle società occidentali", attraverso le sue opere che messaggio vuole dare?

Mi sono sempre interessato verso una fotografia di riflessione del reale, e tecnicamente, di distanza dal momento decisivo "Bressoniano" In una lettura che richiede e che va oltre i confini dell’immagine stessa, rivolgendo lo sguardo verso le nostre città- mondo o mondo- città, (come definisce i nostri spazi di interscambio sociale Marc Augé), ponendo una chiave di lettura interpretabile a seconda della nostra sensibilità e appartenenza ad una idea o senso di vita.
In fin dei conti, ognuno di noi è una storia e come tale va raccontata, senza cercare la spettacolarità o le marginalità vicino alle stazioni, o spazi ad essa assegnati, ma nei luoghi o non luoghi, che attraversiamo tutti i giorni nelle nostre metropoli, preclusi da strutture, ”simboliche” architettoniche, che limitano il nostro guardare o agire oltre. Evidenziare lo stato delle cose attraverso lo sguardo fotografico, in una società individuale, credo sia uno dei compiti più consoni ad una idea di fotografia contemporanea.

Per chi si sta avvicinando all'arte può spiegare quale è il suo modus operandi? Che materiali e che tecniche usa?

Il mio modus operandi consiste nel riprendere la realtà con la fotografia, analogica e digitale, nelle grandi metropoli del mondo senza teatralismi o messa in scena, e creare uno spazio artistico, un contesto d’arte, un riflesso del teatro della vita anonima che ci circonda, dove cambia luogo, contesto urbano, ma l’evento rimane invariato. Applicare una personale visione senza essere dirompenti, un po’ come fare esattamente il contrario di un reportage fotografico, ”riprendere oltre il soggetto”, dove le persone e i luoghi anonimi sono i testimoni diretti della società contemporanea.

In cosa desidera ancora sperimentarsi?

Il mio concetto di arte è sempre in evoluzione, sono aperto ad ogni possibile sguardo contemplativo e analitico del mondo che ci circonda, ultimamente sto approfondendo e affiancando, il linguaggio della video arte con più intensità, partendo dal film che ho realizzato qualche anno fa, QUE SUIS-JE, interamente girato a Parigi.

Qual è il suo sogno nel cassetto?

Non ho un sogno nel cassetto in particolare, forse il desiderio di dare tutto il possibile in ambito della mia ricerca, essere consapevole di aver portato al limite tutto ciò che ho potuto fare in campo artistico, un po’ come stare ad ammirare, una nave progettata e creata, e vederla andare dalla banchina, per affrontare i mari e oceani con venti tempestosi, chissà, forse solo allora potrei dire e sentirmi un uomo libero.

Che suggerimento vorrebbe dare a quei giovani che vogliono approdare nell'arte contemporanea?

Il consiglio che posso dare ai giovani che si avventurano nell’ arte contemporanea è quello di essere fermamente convinti della strada, non priva di insidie e provvisorietà da intraprendere, e di coltivare un senso acuto e critico verso tutto ciò che ci circonda. Andare avanti con fermezza e coerenza con il proprio lavoro e disciplina artistica più consona a sé stessi, senza ricercare risultati immediati di affermazione, ma soprattutto credo, considerare noi stessi come i miglior critici del nostro lavoro e del nostro tempo.

 

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