FRANCO BELSOLE Visual artist

Paris 2010 - Urban Attitude

Intervista di Camilla Boemio

 

C.B. – Quale è il tuo background?
Ci sono fotografi o movimenti, che ti hanno influenzato o ispirato?

F.B. – Ho iniziato ad avvicinarmi alla fotografia nei primi anni novanta grazie a molti amici artisti cercando di interpretare i loro lavori dandogli un’interpretazione diversa da quella originale di partenza, dopodiché il mio interesse si è spostato verso correnti e stili di fotografia diversi tra loro in particolare verso tematiche sociali dove gli spazi e i luoghi avevano e hanno la loro importanza individuale.
La scuola di Düsseldorf dei coniugi Becher, con i loro paesaggi architettonici inusuali, e l’approfondimento linguistico della loro corrente con i suoi vari artisti, credo sia stata per me la spinta iniziale per cui ho intrapreso il mio viaggio di ricerca.

C.B. – Il tuo immaginario estetico si nutre anche di cinema, un Expanded Unreal nel quale la realtà è la proiezione di un elaborata dimensione metafisica. Me ne vuoi parlare.

F.B. – Il presupposto è quello di lavorare con un’ottica che non si concentri su singole fotografie selezionate in base al contenuto, ma che si orienti piuttosto sulle possibilità di un linguaggio cinematografico.
Nel mio lavoro cerco di rappresentare un momento non decisivo della realtà creando nello stesso tempo un palcoscenico dove l’anonimato e lo sfondo architettonico diventano i protagonisti assoluti dell’evento, cercando di creare uno spazio artistico, un contesto d’arte, utilizzando come mezzo la realtà stessa, senza finzioni o messa in scena.
Quindi penso che la fotografia sia il mezzo più consono per cercare di catturare “l’accadimento nel suo stato più puro”.

C.B. – Dalla città protagonista assoluta del filone documentaristico, nella quale la figura umana diventa un irrisorio particolare, sposti l’attenzione nei confronti della folla in movimento.
Persone protagoniste dai tratti globalizzati, vivono in città non facilmente riconoscibili.
Parlamene.

F.B. – Credo che nella domanda ci sia già la risposta, sicuramente ti sarà capitato di vedere progetti architettonici animati o documenti specifici sulle città, e la figura umana appare come “irrisorio particolare” nonostante i progetti e gli sforzi siano nel dare dignità di spazi e contesti vivibili all’individuo, forse anche questa riflessione mi ha portato verso una ricerca capace di focalizzare l’attenzione sulla folla e sull’anonimato ripreso con una “lente ravvicinante”, mettendo in risalto stati d’animo e situazioni individuali comuni in qualsiasi metropoli e nonostante cambi luogo e città, l’evento rimane invariato.
Io sono interessato da questo senso di situazione individuale globalizzata, al di là dei luoghi convenzionali di appartenenza.

C.B. – Nella mostra PARIS 2010 - URBAN ATTITUDE tratteremo, durante l'incontro con l’Ordine degli Architetti, delle periferie partendo da Inglewood (sono da poco ritornata da Los Angeles) analizzeremo l’Italia e lo sfacelo di ‘aree voragini’ nelle quali capannoni e degrado diventano normale vivere per intere comunità.

F.B. – Ricordo che quando sono stato a Philadephia, abitavo in un posto poco fuori la città che si chiama Chestnut Hill, è un posto molto rinomato ed elegante, ma anche famoso per uno sterminio del popolo indiano avvenuto proprio su quella collina oggi zona residenziale.
Ma questa non era la sola cosa spiacevole di quel luogo, anche la graziosa stazione ferroviaria in pieno stile Pennsylvania aveva la caratteristica quando si raggiungeva la prossimità della città di passare sopra i “ghetti dei neri” e poiché la velocità era ridotta visto che si trattava di un treno locale, si aveva una prospettiva di quei luoghi, dall’alto verso il basso, triste, in puro stile dantesco, da lì si poteva scrutare come le nozioni di vivibilità risultassero assenti e le persone portavano a compimento il proprio ciclo giornaliero con non poca fatica.
Mi sono domandato che cosa potevo fare come fotografo se non quello di documentare e interpretare quelle o altre situazioni, come si stanno presentando anche oggi in Italia, cioè aree e spazi dismessi che diventano sempre più luoghi aggregativi, cioè per me “non luoghi”.
Cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica con immagini e interpretazione della realtà, che del resto è una delle svariate prerogative e compito non solo della fotografia ma dell’arte in genere.

C.B. – Tra architetti e fotografi emerge sempre un rapporto di dipendenza. Cosa ne pensi?

F.B. – Credo sia un fattore normale che tra le due discipline risulti uno stato di complicità, infatti basta pensare che l’architettura comunica se stessa attraverso la fotografia mentre quest’ultima usa spesso le strutture architettonica come sfondo per un contesto concettuale, come nel mio caso, creando quindi un rapporto costruttivo.

C.B. – Quale è la tua città preferita? Quale è il tuo gusto ed opinione per ciò che riguarda l’architettura? Quale sono i tuoi architetti preferiti?

F.B. – La mia città preferita, senza alcun dubbio è New York, non solo per il paesaggio architettonico e l’umanità che incontri, ma anche per le contraddizioni che si trovano e per quella luce particolarissima e unica che non ho trovato in nessuna altra città.
Come ho già accennato, nella domanda precedente, l’architettura nel mio lavoro è fondamentale, trovo nell’architettura moderna un grande stimolo.
Credo che oggi il compito dell’architettura sia costruire spazi in cui abitare, lavorare e stare insieme in modo armonioso, la città con i suoi spazi da vivere come luoghi di aggregazione. In fondo l’architettura è anche una visione del mondo.
Dal mio punto di vista trovo interessante architetti come Santiago Calatrava ed ovviamente Renzo Piano.

C.B. – Le gallerie stanno diventando non più centro esclusivo della fruizione dell’arte. Si può apprezzare l’arte in un inatteso scenario. Vuoi parlarci dei tuoi nuovi progetti?

F.B. – Finalmente l’arte, in questi ultimi anni, esce dai soliti canoni e questo permette a tutti di poterla apprezzare più facilmente, da questo punto di vista sono convinto che in uno scenario inatteso l’arte ne esce fortemente rafforzata e motivata, avendo la possibilità di trovare un ambiente più variegato e certamente più personalizzato nella sua realizzazione.
Non a caso i miei ultimi progetti si rivolgono ad ambienti e spazi fuori dai canoni tradizionali collocando le mie immagini di grande formato, in contesti architettonici moderni i quali restituiscono l’opera nella sua molteplicità e completezza, determinando un forte senso di aggregazione tra fotografia e architettura.